Eccoci alla fine di questo anno.
Un anno che ricorderemo per molto, molto tempo: stavamo tutti vivendo le nostre vite più o meno tranquille, o meglio, sopravvivendo alla solita routine: lavoro weekend qualche viaggio lavoro lavoro aperitivi ristorantini palestra e ancora lavoro. E poi è arrivata una pandemia a spazzare via tutto e ci ha traghettato in un “new normal” che non ho ancora ben capito come sia. Abbiamo pensato che ne saremmo usciti migliori e invece ci siamo ritrovati peggiori, con gli ormai famosi negazionisti e i no-vax.
E pensare che il 2020, per me, era iniziato bene, trascorrendo qualche giorno fra amici nelle Langhe. Ci eravamo mossi tardi e non abbiamo trovato case abbastanza grandi da ospitarci tutti e otto; quindi siamo finiti per prenotare una casa che, per dirla in modo politicamente corretto, non rispettava del tutto gli standard di pulizia del mondo occidentale. Ma ci siamo divertiti molto… chi avrebbe mai pensato che una cena fra amici sarebbe stata una cosa impossibile nei mesi a seguire!
Mi ricordo benissimo la prima volta che ho sentito parlare del nuovo virus cinese. E’ fine gennaio e sono con alcune amiche in un bar che frequento spesso e si parla, come sempre, del più e del meno. Da qualche settimana mi è venuto il pazzo desiderio di fare il mio primo viaggio da sola e Hong Kong era la meta a cui stavo pensando. Mi ricordo benissimo di aver pensato mentre le mie amiche parlavano di questo virus: “Forse meglio cambiare meta, niente Asia”. Fa freddo e beviamo una tisana discutendo di una cosa che ci sembra lontanissima.
Nei giorni seguenti il mio viaggio prende sempre più forma: trascorro i tragitti sovraffollati in treno verso Milano su Skyscanner per cercare il prezzo migliore per la destinazione che più mi faceva sognare, indecisa fra Tokyo e Boston, dove vivono due mie cari amici.
Il secondo weekend di febbraio alla BIT di Milano, la Borsa Internazionale del Turismo, ho fatto razzia di volantini e dépliant sui paesi del mondo che avrei voluto visitare. I notiziari parlano dell’assenza dei buyer cinesi, ma a me la fiera è sembrata affollata come sempre. Sono tornata a casa con un chilo e mezzo di flyer.
Intanto la vita continua come sempre. In ufficio durante la pausa caffè guardiamo i numeri del contagio salire in Cina e in metropolitana iniziamo a osservare con un pochino di timore gli asiatici con le mascherine mentre noi andiamo all’ennesimo incontro di lavoro nella sede del cliente.
Io prenoto il mio viaggio, partenza 21 marzo: andata Milano-Chicago, ritorno New York-Milano.
Il terzo weekend di febbraio lo passo a Salsomaggiore rilassandomi alle terme e a zonzo fra i castelli del Parmense. Dopo qualche giorno, il 21 febbraio, viene individuato il paziente 1 di Codogno. Inizio ad andare meno in ufficio e a prendere cibo d’asporto. A casa lavoro un po’ in camera, un po’ in cucina o in salotto, intanto si tratta di una situazione precaria! In quei giorni c’è chi proclama #milanononsiferma e incoraggia ad andare nei ristoranti cinesi, mentre il Sushi All You Can Eat più buono della mia zona chiude.
L’8 marzo faccio la mia ultima camminata in montagna, nel triangolo lariano: è una bellissima giornata non troppo fredda e inizio a sentire aria di primavera. Guardo tutti con paura e mi tengo lontana dai (pochi) gruppi di camminatori, mangiando il mio panino col formaggio su un sasso, al sole, per evitare di stare con troppa gente in un rifugio. La sera ho salutato il mio ragazzo senza sapere quando ci saremmo rivisti. Il giorno dopo il paese era in lockdown.
Da quel giorno, l’home office diventa la mia quotidianità. Allestisco la mia postazione di lavoro in mansarda, dove ho studiato per tanti esami e ho scritto le mie due tesi. In quei due mesi chiusa in casa inizio a praticare lo yoga, faccio le parole crociate mentre sono in coda per fare la spesa, cerco lievito e farina e quando li trovo imparo a fare la focaccia (mi viene molto bene). Inizio a capire che non potrò partire e cancello le prenotazioni di aereo e alberghi (per l’aereo non ho ancora ottenuto il rimborso). Sono mesi in cui le lacrime mi scendono facili: quando sento la conta dei morti alle 18.00, quando vedo le strade vuote di Milano – quelle stesse strade che ogni giorno percorrevo per andare al lavoro, proprio dietro al Duomo, mentre vedo i servizi al telegiornale. A ogni striscione sui balconi che riporta “Andrà tutto bene” mi chiedo: ma siamo davvero sicuri?
Intanto iniziamo a lavorare meno: prima ferie (nei giorni in cui dovevo essere negli Stati Uniti, che beffa!) e poi la cassaintegrazione, o coma si chiama adesso “CIGO”, una parola che mi sembrava così lontana, figuriamoci, io che ho due lauree, un master, lavoro in centro a Milano in un’azienda di servizi altamente qualificata… e invece. Come tutti, vivo in video call, imparando a conoscere le case dei miei colleghi, i loro figli e gli animali domestici, i capelli fuori controllo dei colleghi e le capigliature imbiancate delle colleghe. In video call mi alleno anche, la domenica pomeriggio, insieme agli amici di Boston, quando da loro è mattina. Sempre in video call parlo con le mie amiche e giochiamo a Nome Cose Città il sabato pomeriggio. Provo tutte le piattaforme: Zoom, Duo, Hangouts… Partecipo ad aperitivi su Zoom. Vivo dalla vita in giù in tuta o leggings e pantofole, mentre dalla vita in su indosso i miei soliti maglioni e a volte addirittura qualche blusa. Arriva la primavera, bellissima come mai non era stata. Nel giardino fioriscono tantissimi fiori. Le giornate sono scandite dalla protezione civile che passando con il megafono nelle vie del paese ripete “Non uscire, si raccomanda di non uscire”. Pasqua, 25 aprile e 1 maggio li trascorro come tutti in casa, cucinando. Faccio andare più la lavastoviglie che la lavatrice.
Finalmente arriva il 4 maggio e possiamo tornare a uscire nei dintorni di casa e vedere i congiunti – altra nuova parola che abbiamo imparato quest’anno. Esploro tutti i boschi dietro casa, scoprendo che non sono poi così male. O forse è sono i mesi passati chiusa in casa a farmeli sembrare belli? Mi faccio delle lunghissime pedalate in bicicletta. Vado a comprare il forno, che si era rotto a fine aprile (non ha retto alla panificazione selvaggia del lockdown), sperimentando un nuovo modo di fare shopping, dove non è possibile girare liberamente per il negozio ma vieni affidato a un commesso.
Il 24 maggio è possibile circolare liberamente: ritorno in montagna, per una bella passeggiata in Valsassina. Non si rivela una grande idea: tutti i milanesi e i brianzoli, piegati dopo mesi passati in casa, si sono riversati sulle strade, creando km e km di coda. Anche chi non ha mai messo piede in montagna, preso dalla voglia di libertà, si è improvvisato camminatore, come due ragazzi della Brianza a cui ho chiesto un’informazione su un sentiero e mi hanno risposto “Anche noi stiamo cercando il lago Culino, ma ci siamo rotti i c******* di camminare e ce ne torniamo a casa”.
Giugno è stato freddo e piovoso, ma è stato bello rivedere gli amici e poter uscire liberamente. Il primo giorno di giugno sono andata a Como, ma confesso che non me la sono sentita di prendere il battello che faceva il giro del lago… troppo affollato.
Il 24 giugno torno in ufficio a prendere le mie cose: non mettevo piede a Milano dal 4 marzo. Mi si è stretto il cuore vedendo che stavano portando via gli arredi da uno dei posti che frequentavo in pausa pranzo. Per non parlare dei cartelloni giganti che coprivano i palazzi di via Torino… totalmente bianchi.
Due giorni dopo ho pranzato fuori con un’amica per la prima volta da febbraio con una pizza da asporto mangiata al parco.
Inizia l’estate e ci dimentichiamo (chi più e chi meno) del virus. Ho cercato di fare più weekend possibili fuori porta: in Val Borbera (mi è piaciuta così tanto che ci sono tornata a ottobre a far castagne), in Val Curone, a Bobbio e al Passo del Brallo. Tutte zone poco frequentate in Piemonte ed Emilia a poca distanza dal confine con la Lombardia. Sono anche stata ospite da una cara amica in Valtellina, a Semogo, a luglio.
E poi ho fatto il mio primo viaggio da sola… a Venezia. Non è stata l’avventura intercontinentale che sognavo ma l’ho considerato un test: sono stata bene in compagnia di me stessa e non ho combinato casini. Test superato! E ancora, le ferie estive, ad agosto, trascorse interamente in Italia, in Abruzzo -davvero una bellissima scoperta. Non trascorrevo un periodo di vacanza così lungo in Italia credo dai tempi delle medie, perché ho sempre avuto – nel bene e nel male – la voglia di uscire dai confini nazionali e vedere gli altri paesi. E ancora, a settembre, sono stata nelle Marche, visitando il Conero e la zona dei monti Sibillini. L’estate sembrava non finire mai.
Da inizio settembre ho ricominciato ad andare in ufficio una volta a settimana. L’azienda si è trasferita in un ufficio più piccolo in una zona meno bella di Milano. Per anni salutavo il Duomo ogni giorno e passeggiavo in pausa pranzo in via Vittorio Emanuele o in via Torino. Sul treno mi nascondo dietro la mascherina guardando con preoccupazione chi tossisce o starnutisce e mi concedo sempre un caramel macchiato dallo Starbucks in Stazione Centrale.
A ottobre i contagi iniziano a salire sempre di più e ricomincio a fare tutti i giorni in home office. Ogni weekend scappo in montagna: monte San Primo, Mottarone, monte Due Mani… sempre con il pranzo al sacco. In fin dei conti la Lombardia non è così male. E il Piemonte anche – visto che il Mottarone si trova oltre il confine.
Il 5 novembre la Lombardia è dichiarata ancora Zona Rossa. Ho ricominciato ad andare nei boschi dietro casa; tutti i weekend il tempo è bello e caldo, senza una nuvola.
E quindi sono passati anche questi 2 mesi, è arrivato Natale e anche Capodanno, che non trascorrevo a casa da 15 anni almeno.
Ho avuto molto tempo per riflettere (e guardare Netflix) e vi confesso che, in fin dei conti, io quest’anno per alcune cose l’ho apprezzato. Non fraintendetemi: abbiamo vissuto momenti drammatici, io ho perso delle persone care per questo maledetto virus. Non abbiamo potuto viaggiare. Ma ho capito quanto è importante ritagliarsi degli spazi oltre al lavoro, e come è fondamentale vivere il luogo dove abitiamo senza tornarci solo per dormire. Ho imparato quanto tengo alle persone care e quanto sono importanti le amicizie. Ho capito che molti dei vestiti che ho nell’armadio sono superflui, per non parlare delle scarpe, mentre non ho abbastanza abbigliamento sportivo e pantaloni della tuta. Io non voglio tornare interamente alla vita prima, frenetica e anche un po’ superficiale.
Oggi è il 1 gennaio 2021, siamo nel nuovo anno. Non faccio buoni propositi ma vi assicuro che, ancora più di prima, cercherò di sfruttare ogni momento per viaggiare, quando si potrà. E’ quello che auguro a tutti noi: vivere al massimo ogni momento. Non serve fare grandi cose per vivere la libertà che quest’anno, per una causa più grande e più importante di noi, ci è stata tolta.